Rubrica Art&Culture by Creta Ornis
E’ da poco sorta l’alba, ma non avete fretta stamattina. Sorridete, mentre aprite gli occhi, al nuovo giorno. Non dovrete andare al lavoro. Insieme ai vostri familiari e ad amici, venuti da fuori città, vi recherete al teatro di Dioniso, sulle pendici meridionali dell’Acropoli. E’ già trascorso un anno dallo scorso Elafebolione(mese di Marzo-Aprile) ed è di nuovo tempo delle Grandi Dionisie, o Dionisie Urbane, una delle feste più solenni del mondo greco; per ben una settimana la comunità intera sospenderà la realtà quotidiana. Le pratiche comuni, infatti, come il lavoro, verranno accantonate, per consentire a tutti i cittadini, perfino ai più poveri, di lasciarsi assorbire interamente dalla realtà complessa, concreta e alternativa che ingloberà, in un mondo parallelo, attori e spettatori dell’evento teatrale.
Questo succedeva nell’Atene del V secolo a. C. Fu in quella superba città, in quel fortunato periodo storico che, uomini geniali come Eschilo, Sofocle ed Euripide si trovarono a creare e ciò che venne fuori dalla loro infinita maestria è una delle più importanti invenzioni al mondo:il teatro, appunto.
Siete mai stati orgogliosi di essere nati nella bella città di Siracusa? Chiunque abbia un minimo di conoscenza del suo glorioso passato non può non esserlo. Uno dei vanti della città è il teatro greco, uno dei meglio conservati dell’antichità, uno dei pochi in cui venivano esportati gli spettacoli teatrali, fatti espressamente per la città di Atene. Qui, dal 1914, si tengono le rappresentazioni classiche, arrivate ormai al 52° ciclo.
Dal 13 Maggio al 19 Giugno 2016
verranno messe in scena
l’Elettra di Sofocle e l’Alcesti di Euripide;
dal 23 al 26 giugno 2016
Fedra di Seneca (in scena per la prima volta a Siracusa).
L’INDA (Istituto Nazionale del Dramma Antico), che si occupa di divulgare la conoscenza delle tragedie e commedie greche e romane, ha scelto di tingere di rosa l’evento, com’è evidente dal fatto che, tutte le opere ruotano attorno a figure femminili. Elettra e Alcesti sono due tragedie greche sui generis, accomunate dal fatto di essere stranamente ‘a lieto fine’, cosa rarissima nel teatro antico, e Fedra, che è un’opera latina, era forse stata scritta più per la lettura che per la messa in scena, ma ciò non esclude che nel passato sia stata rappresentata in teatro.
Sarà Carlo Cerciello, pluripremiato regista napoletano, a dirigere Fedra di Seneca al #Teatro Greco di #Siracusa #stagione2016
— Fondazione Inda (@Fondazione_Inda) 10 marzo 2016
Elettra è stata scritta da Sofocle verosimilmente dopo il 425 a.C. La scena si svolge alla corte di Micene. La protagonista, di cui il drammaturgo ha fatto un sapiente ritratto psicologico, è estremamente moderna: una donna forte, dalla grande personalità, intensa, mossa da un odio implacabile nei confronti della madre, la regina Clitemestra e del suo amante, Egisto, colpevoli di aver ucciso il padre, il re Agamennone ed averne usurpato il trono. La speranza della nostra eroina, perennemente sulla scena, e la sua folle sete di vendetta sono incentrate sulla figura del fratello lontano, Oreste. A sentire il suo nome, la madre, donna misera e malvagia, trema, temendo per la sua vita e per quella dell’uomo che ama.
Possiamo immaginare la sua gioia, quindi, quando sente narrare dal precettore la falsa notizia della morte di Oreste durante una gara di cavalli. Elettra, dal canto suo, si dispera. Piange, abbracciando forte quelle che crede siano le ceneri del fratello, ma la sua forza d’animo non l’abbandona, la sua determinazione non viene meno ed ella ribadisce la ferma intenzione di vendicarsi. Sola, contro il tiranno Egisto che annullava la sua libertà e la libertà di tutto il popolo; sola, contro una madre fiacca, misera, vile che preferisce l’amore di un estraneo all’affetto naturale e puro per eccellenza, quello di una donna per la sua progenie. In realtà, però, il precettore ha inscenato la falsa storia della morte di Oreste al solo scopo di far entrare il giovane nella reggia, mascherato appunto da compagno del vecchio. Oreste può dunque mettere in atto la sua vendetta, uccidendo prima la madre e poi Egisto; finalmente Elettra si sente appagata, la sua vendetta è ormai compiuta. La ricompensa per non essersi lasciata piegare dall’odio e dalla bassezza morale che la circondavano? La libertà di decidere il suo futuro.
Del 438 a. C. è Alcesti di Euripide. Questa opera risultò particolare fin dal primo momento perché conteneva elementi comici e motivi da fiaba popolare. La storia si incentra sul grande atto di vero amore compiuto da una donna straordinaria, Alcesti. Suo marito, il re Admeto deve morire, ma il suo protettore, il dio Apollo ne ottiene la salvezza, a patto che qualcuno si sacrifichi in vece sua. Admeto chiede prima ai genitori, che rifiutano. Chiede poi alla moglie, la quale acconsente e in una scena ricca di pathos, Alcesti dà l’estremo saluto al marito. Admeto ha un comportamento ambiguo:
piange dolorosamente la morte della sua amata, ma non le impedisce l’estremo sacrificio. Questa è l’accusa che Feres, padre di Admeto muove al figlio e quest’ultimo gli rinfaccia di non aver avuto il coraggio di morire per lui, nonostante avesse già goduto di una vita molto lunga. Certo, ci appaiono piccoli ed egoisti. Nulla a che vedere con la nobiltà d’animo, la grandezza e la magnanimità di Alcesti, che si staglia immensa, tragica, innamorata, sul mondo cinico che la circonda. E’ il potere dell’amore a rendere grande questa donna, perché un essere umano, uomo o donna che sia, quando ama, ha potere su tutto e non ha paura di niente. Perché l’amore è la forza motrice dell’universo.
Tuttavia, grazie ad Eracle, Admeto ha il coraggio di rimediare. L’eroe, che si presenta sulla scena ubriaco, creando un effetto di stridente comicità in contrasto all’atmosfera mesta e funebre di Admeto, appreso l’accaduto, insegue il demone della morte e gli strappa Alcesti. La riporta indietro e, coperta da un velo, la offre ad Admeto. Egli la rifiuta con decisione e determinazione, credendo che sia un’altra donna. Ha giurato eterna fedeltà all’adorata moglie e intende mantenere la promessa. Questo gli vale il lieto fine. La donna velata è infatti Alcesti e i due si ricongiungono, mentre il coro canta:
“Sono molte le sorti che il Destino ci prepara
e spesso gli Dèi compiono eventi inattesi:
ciò che si riteneva possibile non accade
e ciò che nessuno s’aspetta il Dio lo dona.”
Fedra è anch’ella una donna innamorata, ma il suo amore è malato, insano, incestuoso. Folle. Fedra è folle d’amore per il figlio di suo marito, il re ateniese Teseo, il giovane Ippolito. Costui fugge le donne per dedicare la sua intera esistenza alla caccia e alla vita nei boschi. Lei lamenta le infedeltà e la lontananza del marito, e autogiustifica la sua insana passione come un peccato familiare, un furore cieco che già, in passato, indusse la madre a unirsi ad un toro. Fedra è consapevole del proprio male; spregiudicata si dichiara al giovane innocente con parole ambigue, familiari che dapprima costui non coglie, totalmente ignaro delle profferte amorose della matrigna. Quando, infine, Ippolito capisce, è indignato e inorridito. Il giovane misogino, che odia l’intero genere femminile, pio ed austero non si capacita di essere l’oggetto del desiderio della sua matrigna. La visione di entrambi è estrema, totale, chiusa e, proprio per questo, sbagliata. Tragica. Inconciliabile.
Non si può vivere assecondando qualsiasi impulso, qualsiasi insana passione momentanea, come vorrebbe Fedra; ma allo stesso tempo, non possiamo vivere in un mondo puro e semplice, un mondo senza corruzione ma totalmente avulso dall’amore. Senza amore non c’è futuro, non c’è vita.
Fedra, indignata per il rifiuto, accusa falsamente Ippolito di averla molestata e Teseo si vendica. Il
bellissimo giovinetto, viene fatto a pezzi in seguito alla condanna paterna. Segue il suicidio di Fedra che, tenacemente, caparbiamente, non si rassegna e, come ultima preghiera, chiede agli dei di poter essere unita all’amato almeno negli inferi.
Ecco, in sintesi, le rappresentazioni di quest’anno. Tre donne forti, tre modi d’amare, tre visioni diverse della realtà, ma non molto distanti dalla nostra, a ben guardare.
In tutti noi c’è l’impulso alla libertà, come in Elettra, il bisogno di decidere da soli il nostro futuro; in tutti noi c’è l’amore immenso per qualcuno, un figlio, un marito, un amico o chissà… che ci porta a compiere immani sacrifici, anche a costo della vita, come fece Alcesti.
E quasi tutti, anche se non in malafede, nelle piccole e nelle grandi cose, credono che la loro visione della vita, dell’amore e del mondo, insomma, sia l’unica giusta, l’unica vivibile e calpestano pensieri diversi e sentimenti che non riescono a concepire, perché frutto di culture e sensibilità aliene, cancellando con un ‘clic’ persone che altrettanto diritto hanno a fiorire ed essere. Negare la voce agli altri, non è nobile, non è umano.
A Maggio manca poco ormai. Scegliete la vostra opera e fate i piani per andarla a vedere.
E non importa se non avete fatto il Liceo Classico e se fino a oggi non avevate mai sentito parlare di Sofocle e di Fedra.
Siete di stirpe greca, il teatro è nelle vostre vene, nel vostro sangue, nel vostro DNA. Sedetevi sulle gradinate al tramonto, sentite il vento che vi sfiora il viso e aspettate che il passato venga messo in scena…
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